SQUID-PC: dove va la poesia
Quick pick dal Sedicesimo Quaderno Italiano Di Poesia Contemporanea.
Recentemente è uscito il Sedicesimo Quaderno Italiano Di Poesia Contemporanea (scheda OPAC). Come noto, la pubblicazione – curata da Franco Buffoni e selezionata da un comitato di lettura che nel 2023 ha compreso, oltre a Buffoni, anche Umberto Fiori, Massimo Gezzi, Fabio Pusterla, Claudia Tarolo, Marco Zapparoli – si propone di individuare, e inquadrare mediante autorevoli introduzioni critiche, giovani “prospect” della poesia. L’intenzione è fornire al lettore, anno per anno, un sestante per tracciare le direttrici la poesia italiana del futuro. In questo senso si tratta di una pubblicazione molto attesa, almeno nel nostro ambiente, e preceduta da una call for papers che suppongo molto frequentata.
Che tu ci creda o no, quest’anno, è la prima volta che mi confronto col plenum di un numero (in precedenza qualche Autore mi aveva mandato la “sua” sezione). Mi trovo così dinanzi a un settimino di poeti, anagraficamente compresi in un range meno che decennale (1988-1996), presentati in ordine rigorosamente alfabetico: Michele Bordoni (introdotto da Cristiano Poletti), Marilina Ciaco (Stefano Colangelo), Alessandra Corbetta (Umberto Fiori), Dimitri Milleri (Massimo Gezzi), Stefano Modeo (Paolo Febbraro), Noemi Nagy (Fabio Pusterla) e Antonio Francesco Perozzi (Gilda Policastro).
Gli autorevoli critici (in più di un caso anche pregevoli poeti), con le loro disamine, rendono perfettamente inutile un discorso dettagliato da parte mia sui singoli A. – accenno solo che delle raccolte un paio di loro, ossia Milleri e Perozzi, mi sono occupato in passato; i restanti nomi mi sono noti e li ho letti (o riletti) con piacere.
Più interessante è porsi il quesito se da queste sette voci, ictu oculi così eterogeneee, si possa inferire un “canone” o comunque un tratto unificante. A questa domanda ha risposto generosamente e articolatamente Francesco Ottonello, altro giovane e valente studioso, oltre che apprezzato poeta (Isola aperta). In un intervento su Medium Poesia Ottonello, passando anche in rassegna i quaderni precedenti, ha ravvisato il trait d’union di questa sedicesima uscita sviluppando il concetto di transmodernità – carico d’implicazioni intrinseche ma anche in opposizione al prefisso post- , percepito come barriera ostativa al possibile recupero di ciò che è pre-. «Non c’è ordo (prima o dopo in linea retta), solo simul (la simultaneità delle tradizioni)» in quello che potremmo dire un “canone liquido” (non a caso nel saggio si cita Bauman), la cui essenza stessa è flusso e trasformazione; veicolato da quella informatizzazione che, anche secondo me, gioca un ruolo primario, come dirò in calce.
Rinviando al lavoro di Ottonello per approfondire la sua tesi, occorrerebbe avere accesso ai “lavori preparatori” (si direbbe in giuridichese) del comitato di redazione per verificare quanto la sostanza del concetto di transmodernità abbia guidato più o meno consapevolmente la selezione. Sinceramente non so se abbia senso parlare di un canone, concetto caro alla critica militante ma a mio avviso cogente, quando non castrante, in presenza di una così ampia spettrografia di forme (si va dalla “prosa in prosa” a poesie naturalmente gravitanti attorno all’endecasillabo; dal frammento al poemetto; dalla pienezza dell’io lirico all’impersonale {cum grano salis} di un questionario, etc.). Spesso nobilitate, e questo mi sembra il punto pressoché comune da sottolineare, da una vorace curiosità interculturale verso la sussunzione in poesia di ogni possibile suggestione artistica e scientifica (si vedano le note esplicative di Milleri e Nagy, o il lavoro {ecfrastico o metafrastico} sull’arte compiuto da Bordoni). L’attenzione per la corporeità, quella per l’oggettistica tout court o tecnologica, la declinazione esplicita della brandizzazione onnipervasiva di ciò che possediamo o ci circonda (qui soprattutto Perozzi), anche con finalità di critica sociale, fanno il resto.
Complice anche l’informatizzazione giustamente evidenziata da Ottonello, mi sembra in breve che queste giovani leve abbiano ampliato Borgesianamente il concetto Baudelairiano di flâneur: da “botanico del marciapiede” a “botanico della biblioteca di Babele”. Ma soprattutto, ponendo ciò in opera, abbiano brillantemente affermato che tutto il campo del sensibile, ma anche dello scibile, è suscettibile di conduzione poetica e approdo gnomico; così vanificando l’egemonica reductio della poesia “propriamente detta” a res metaphysica/intima (res che ora non viene bandita ma diventa uno solo dei possibili ingredienti). In questo senso, con un moto di risacca davvero transmoderno, la contemporaneità dell’inquietudine e dello strumentario poetico rifluisce nell’ideale Terenziano (umanista, pantomate) dell’homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Ti propongo una scelta di sette poesie, una per A. (Substack purtroppo non fa scorrere i gram multi-immagine, per cui clicca sopra il corpo della poesia di Bordoni per accedere al mio Instagram e leggere anche le altre sei)
Scegliere una poesia sola in corpus a volte molto estesi e provvidamente complessi è già una terribile forzatura; in più è obbligatorio rimarcare che trattasi di poesia Millennial selezionata da un GenX (lo scrivente scriba). Dunque, con esiti probabilmente “conservatori” rispetto a tematiche e forme espressive differenti che potrai trovare in capo agli stessi A. del volume. Il cui acronimo, SQUID-PC, mi porta alla similitudine con una splendida seppia multicolore, intenta a rappresentarci con dovizia di registri cromatici il sentire poetico di questi tempi (anche) marcatamente informatici.