Due libri, un collettivo, un film
Segnalazioni: Clery Celeste, Minima Poesia, Gianluca Garrapa, rivedere “Il cavallo di Torino” e sentirlo nelle ossa.
Ciao, oggi non ti impiatto una branzinatura, ma torno in qualche modo al flusso di pensieri. Ne è sortito, senza premeditazione, un post che “copre” alcune novità poetiche e un ritorno di fiamma filmico. Nota preliminare, come si legge nelle newsletter ben strutturate: nessun link è oggetto di affiliazione o sottende rapporti commerciali (in poesia, poi? «È grassa se non paghi» autocit., smile, ma non troppo). Tutto si fa per solo amor di cultura. Detto questo… Via, iniziamo!
A distanza di quasi dieci anni dalla prova precedente, è appena uscita la nuova raccolta di poesie di Clery Celeste, Salvare il necessario. L’editore è Pietre Vive: come forse sai, sono legato affettivamente a questa piccola e dinamica realtà della Val d’Itria almeno dal 2020, quando i miei versi vi han ricevuto riparo; proprio per questo applico quasi sempre una sorta di auto sospensione (nemo iudex in re “sua”). Il “quasi” è legato al fatto che alcuni volumi sono di un tale livello che sarebbe un peccato non segnalarli. Impreziosito dall’opera di copertina di Fabrizio Riccardi, giovane artista pugliese, questo libro affascina immediatamente per la consapevole felicità stilistica dei versi; tanto che scriverci troppo sopra sarebbe, inevitabilmente, forzare una propria ricostruzione, a scapito della pluralità di interpretazioni possibili, poste in gioco dalla Poeta.
Certamente mi piacerebbe spendere, in futuro, qualche parola in più per interpretare il raggruppamento delle poesie in quattro “movimenti”, alla stregua di una sinfonia, o meglio ancora di un poema sinfonico, dato che ogni Satz ha una didascalia che ci orienta (saggiamente, giusto un po’); più un “controcanto” finale, il quale complicherebbe la classica quadripartizione sinfonica, ma mi sembra avere un suo saldo motivo, a livello strutturale, di svolgimento. Pure sul “necessario”, che il titolo del libro chiama in causa, ci sarebbe da ragionare assai, magari confrontando il volume col precedente e “pesandone” i temi. Molta attenzione di lettrici e lettori sarà, poi, calamitata dal fatto che il primo movimento di Salvare, composto tra il 2016 e il 2019, anticipa l’epocale lockdown 2020. Ma anche qui – constatato tra me e me che la buona letteratura è quasi sempre “profetica”; la “presa” dello scrivente scriba si è in fondo autoconvinta a uscire per questo motivo; ma potrei citare esempi ben più illustri – occorre non fare l’errore d’incistarci in una sola ipotesi ricostruttiva, onde non privarsi delle suggestioni che possono provenire, durante la lettura, o anche molto dopo, da piani differenti. La stessa “cosa che abita in me” dell’ultimo movimento si presta a più tentativi ermeneutici, tutti egualmente fondati e interessanti.
Ho scritto anche troppo. I versi, come dicevo, sono forti per se. Qui di seguito linko nuovamente alla scheda sul sito dell’editore; qui invece a una preview di cinque poesie sul lit-site Poeti Oggi.
Ti confidavo che sono legato da amicizia a Pietre Vive. Non posso dire lo stesso per il collettivo Minima Poesia. Ma non perché lo odî! Al contrario, apprezzo molto e seguo il suo lavoro. Il fatto è che è un collettivo anonimo e giuro che non ne conosco neppure un membro. E va benissimo così, perché la sua mission è quella di diffondere poesia sganciandosi, proprio mediante l’anonimato, dal gioco delle pressioni e delle influenze che neppure il nostro nobile e squattrinato ambiente ostracizza del tutto. Fondato nel 2021, Minima Poesia, che partendo dal sito potete seguire anche via social e newsletter, propone, tra l’altro, call for poems per uscite a tema (i numeri del Magazine), come pure una collana di Chapbook per singolo Autore. Rinfrescante, poi, in una bolla poetica che non riesco ancora a non definire luddista verso il libro elettronico, la sua politica pay per paper: le proposte sono gratuitamente fruibili in formato digitale (pdf, epub, mobipocket, onsite), ma possono essere ordinate anche in volume cartaceo, con un piccolo contributo.
Sto leggendo in questi giorni il recente Chapbook di C (M), sigla sotto la quale si cela Gianluca Garrapa, Autore, performer, counselor, divulgatore culturale sia per iscritto che in radio, e tanto altro. Per caso, guarire. Per errore. inizia con una sorta di cadavre exquis “a espansione”, per cui ogni poesia prende le mosse dalla chiusura della precedente; per poi affrancarsi da ciò, ma svilupparsi sempre con la consueta cifra sperimentale dell’A. il cui nocciolo ravviso bene in una esplicita citazione di Damien Hirst, contenuta nel libro: «i poeti hanno assimilato il divorzio tra ragione scientifica e reale e questo bisogna fare noi» (il che mi fa un po’ dubitare d’esser poeta, ma non sono il solo a dubitare che io lo sia, smile). Lasciandoti alle tue autonome sensazioni di lettura, concludo osservando che il valore dell’opera di Garrapa va oltre l’opera stessa: un Autore come lui, già “laureato” de facto ai miei occhi dall’uscita nel 2020 per i prestigiosissimi tipi di Miraggi Edizioni, mi corrobora sulla tesi che veicolare la propria creatività anche attraverso esperienze mainly digital non sia affatto un passo di gambero, una discesa dal Parnaso della brossura, come qualche bibliofilo son certo illazionerebbe, ma una strada legittimamente percorribile in alternanza con quella canonica.
Cinema, infine, e una curiosa aggiunta (raddoppio) di consonante. Mi ero segnato di parlarti di Tár, e invece finisco per parlarti de Il cavallo di Torino, ossia il canto del cigno cinematografico, datato 2011, di Béla Tárr! Mi limito quasi del tutto a un aneddoto personale: il film lo vidi per la prima volta una mezza dozzina di anni fa, meglio dire che lo vide un Corsey molto più “in sella” di oggi; costui non mancò – pur apprezzando la pellicola – di rilevarne l’aura cupa e la “pesantezza” (battute a raffica sui social, oggetto: la mia testa, che per il sonno ciondolava più di quella del cavallo).
Bene, adesso sono e siamo – che te lo dico a fare – in un contesto di una tristezza esponenziale rispetto a sei anni fa; l’altro giorno, tra buio, senso del vuoto e notizie drammatiche da ogni dove, ero particolarmente disperato e, ricordando il plot, ho cercato il film senza pensarci; stavolta me lo sono guardato tutto d’un fiato. Per ritrovarmi, alla fine, perfettamente empatico con la pellicola e ciò che ho creduto di leggervi. È proprio vera e interdisciplinare la massima Proustiana per cui ogni lettore, quando legge, legge se stesso! Anche un film ti colpisce con intensità differenti a seconda del momento in cui lo guardi.
L’ho cercato senza pensarci, scrivevo: sì, perché è nella teca Rai. Sono due ore e mezza spese bene, credo. I primi secondi del film, fatti di una narrazione in campo buio, sono tagliati. Il narratore racconta l’episodio famoso del 1889 (sulla cui rispondenza indicherò qualche risorsa) di Nietzsche e del cavallo: il filosofo, che alloggiava a Torino, intervenne per impedire a un cocchiere di maltrattare un recalcitrante cavallo. Poi…
GUARDA “IL CAVALLO DI TORINO” SU RAI.IT IN FREE STREAMING
…Ciò che ho creduto di leggervi? Me lo ero annotato, confidando di stupirti con le mie deduzioni. Salvo scoprire che… le avevano già dedotte in una bellissima recensione. Che linkerò qui sotto, assieme ad altri due articoli molto utili per interpretare il film.
Spoiler alert: quasi tutto della trama, leggendo, ti verrà rivelato. Pertanto ti consiglio di goderti la pellicola, al link qui sopra, prima di aprire le pagine a questa lista:
Un’intervista al regista Béla Tárr, che precisa (lasciandoli sapientemente un po’ indeterminati), alcuni temi e dettagli del film;
La bellissima recensione de quo ante, a firma di Graham Fuller, che di fatto mi ha privato degli spunti fondamentali per scriverne io…
Infine, una collocazione ragionata dell’episodio storico-leggendario di Nietzsche e del cavallo: le fonti scritte, i precedenti letterari (compreso il Blake di Auguries of Innocence, su cui mi sono cimentato in traduzione!), le elaborazioni successive etc.
Cosa aggiungere a tutto questo? Solo qualche altro riferimento culturale. Il cavallo è, a mio avviso, l’archetipo della potenza mista alla ipersensibilità emotiva. Se un animale così maestoso si allarma (come fa costantemente, in effetti) è segno che l’ingiustizia e/o l’insensatezza della vita è reale e onnipervasiva. Perciò l’episodio di Torino è il paravento di una disperazione e irrimediabilità universale - della “misery” Larkiniana che, sovrapponendo l’aneddoto e il suo svolgimento filmico, passa anche da animale a uomo. Verso uno scoramento globale. Qui, per esempio, Nietzsche sembra davvero reincarnarsi nella protagonista.
Proprio come un altro cavallo, stramazzando, comunicò il male di vivere a un altro grande poeta. Verso una conclusione, tornando alla pellicola, tanto logica quanto perentoria.