BRANZINATURA 1/2024: Happy Berg-day
La mia venerazione per Alban Berg spiegata alla meglio nel suo dì Natale.
Ho pensato a questo nome/hashtag #branzinature (scusandomi ove fosse già stato sfruttato) per aggregare spunti culturali acerbi o “nati troppo stanchi” per diventare veri e propri blog post. Le branzinature vanno in onda sul mio Substack “ortonimo” in modo totalmente irregolare. Praticamente, solo quando mi viene qualche idea. Si direbbero “spigolature” – però dalle mie parti, se chiedi «una spigola», quasi nessuno ti capisce… (questo vorrebbe essere un calembour).
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Buona lettura!
HAPPY BERG-DAY
Il 9 di febbraio è, per me, soprattutto l’anniversario di nascita di Alban Berg (1885-1935). Frequento assiduamente questo compositore e la sua opera, e pressoché ogni 9/2 ammannisco pensieri, immagini, album, o semplicemente lo ricordo in bacheca. Suscitando, credo, qualche interesse ma parecchia indifferenza o anche sarcasmo, visto che ha scritto musica raramente tonale, spesso apertamente dodecafonica. Faceva parte della cosiddetta “Seconda scuola Viennese” insieme a Schönberg e Webern. Il primo dei due, il suo Maestro che si dedicava spesso alla pittura, lo ritrasse così:
Credo che ci siano principalmente due motivi per cui Berg mi è particolarmente caro. Oggi voglio liberamente “branzinarci su” e rendertene partecipe.
Per il primo motivo tocca salire a cavallo degli anni ‘80/‘90: esso non può essere che l’imprinting, l’impatto crudo con la sua musica. Eravamo in piena egemonia dei compact disc e decisi di corroborare la mia conoscenza enciclopedica di musica classica collezionando una grossa uscita a puntate: cento cd a cadenza settimanale, acquistati in edicola. Avevano prezzo contenuto (all’epoca un singolo cd di fascia alta poteva costare persino l’equivalente di diciotto euro!) e proponevano interpretazioni – routinarie ma corrette – di orchestre e direttori minori, ma anche registrazioni storiche (talora monofoniche) di grandi interpreti (Furtwängler, Scherchen, Mitropoulos eccetera). L’ultima uscita, la centesima o giù di lì, annoverava una suite del primo Schönberg, l’ancora tonalissima Notte trasfigurata; di seguito, l’ultimo lavoro completato da Berg, il Concerto per violino “Alla memoria di un angelo”, che invece è compiutamente composto con la tecnica dodecafonica.
All’epoca ascoltavo molto spesso la musica a letto, prima di dormire, a luce spenta, con le cuffiette collegate a un lettore portatile che si chiamava Driveman (a fine anni ottanta era piuttosto popolare – mercé una pubblicità girata su una nota spiaggia sarda, meravigliosa e ancora non invasa – e, come tutte le cose ante “obsolescenza programmata”, funziona ancora bene, benché malconcio); lettore portatile, dicevo, ma io lo tenevo fisso sul comodino.
Prima di quella sera non avevo nessuna esperienza con la musica non tonale. Così il salto dagli ultimi accordi di Verklärte Nacht all’entrata del Violinkonzert (quando il violino solista dialoga con l’orchestra nell’enunciare la “serie” delle dodici note) mi colpì e turbò profondamente. Ero atterrato su un pianeta straniero. Avrei potuto provare una repulsione istintiva e definitiva, invece insistetti e “guadai” quella mezz’ora di spaesamento. Fui egualmente scosso (sempre al buio) dal resto del concerto fino alla chiusura, a quell’arrampicarsi del solista verso note sempre più alte.
Ma era un turbamento che mi tratteneva lì.
Sapevo già, dalla lettura della fondamentale guida di Giacomo Manzoni (scheda SBN), che il concerto di Berg, dedicato alla giovane e sfortunata Manon Gropius (figlia di Alma Mahler), citava un corale di Bach, il BWV 60. Negli ascolti successivi mi resi sempre più conto di quanto la nuova (per me) scrittura portasse dentro sé almeno accenni di tonalità, non solo e non tanto nella citazione di quel corale Es ist genug, ma anche in altri passaggi, all’inizio e anche al termine. Mi trovavo insomma in un territorio inesplorato, in cui però echeggiavano voci familiari. Una volta tanto nella vita, mi decisi a non aver paura e ad affidarmi senza affiancarci troppo studio: provare a lasciarmene pervadere, allo stato zero delle mie conoscenze.
Funzionò. La musica di Berg mi prese. Complice forse il fatto che il concerto era affidato a due pregiati elementi: Josef Suk al violino e Karel Ancerl sul podio. E che la loro interpretazione, per me “battesimale” – e meno iconoclasta di altre che ho conosciuto in seguito – puntava molto a dare pari dignità alle forze, nel gioco tra sottofondo tonale e sua parafrasi dodecafonica. Oggi abbiamo la fortuna di trovare l’intero concerto Suk/Ancerl su YT, e ti esorto a lasciartene trapassare liberamente, senza apparati.
(Ora che hai ascoltato: non è grandioso il passaggio da 22’ 20’’, quasi in chiusura? Solo qui l’ho trovato con questa magnificenza)
Questo concerto mi ha spinto a cercare altre opere – a partire dalla Lulu-Suite – per appurare – qui, per esempio, proponendo e variando un tema di Wedekind, dai cui drammi Berg trasse il libretto; o negli altri lavori che ho via via ascoltato – come Berg, tra i tre della Zweite Wiener Schule, fosse quello più predisposto a contaminare, ripescare, ripensare. A volte componendo la serie dodecafonica, o variandola, con intervalli avvicinabili a una tonalità (per esempio, della Sonata op. 1 si dice spesso che “gravita” intorno al si minore; Th. W. Adorno ravvisava invece aggregazioni sul do maggiore ogni volta che nelle opere si accennava al tema della ricchezza borghese). Insomma, nessuna rottura ostentata con la tradizione, anzi. Né con se stesso: basti pensare alla famosa invenzione su una tonalità sul finire del Wozzeck, che altro non è che la gigantesca ripresa e sviluppo di un suo frammento giovanile di sonata in re minore.
Alla mia sempre maggiore voracità verso un repertorio poi non così esteso, alla scoperta di altre perle da cui non mi separo più (quartetto per archi, sonata per pianoforte, suite lirica ancora per quartetto, concerto da camera), si è affiancata la curiosità biografica per questo slanciato (era alto ben più di 1,90) e fragile compositore, morto a cinquant’anni, e alquanto male.
…Il resto è storia personale, mia frequentazione e scoperta quotidiana (vedi in calce al post).
Il secondo motivo, meno risalente e ancora più personale, è che considero che la passione per la musica di Berg sia l’unico valore che sono riuscito a trasmettere, in modo naturale e altrettanto fulmineo; e l’ho fatto alla persona più amorevole che ho incontrato, in un tempo ormai lontano (la chiameremo W.). Con nessun@, neanche con miei familiari, sono mai riuscito a provare la gioia della condivisione profonda: o l’interlocutore era già appassionat@; o mi assecondava per quieto vivere; o snobbava il tutto apertamente. Con W. invece sì: sono riuscito a farle amare Alban Berg.
L’innesco è avvenuto, se non erro, a fine 2011, tra Natale e Capodanno. Avevamo un pomeriggio intero da spendere, fuori forse pioveva o comunque non avevamo voglia di uscire, e decisi di sottoporre W. a un’esperienza simile alla mia col Violinkonzert. Proporre cioè una musica cosiddetta difficile a chi era [germanista e coltissima in molte altre forme artistiche e letterarie della stessa epoca, ma] a digiuno di “apparato musicale” post tardoromantico. Scelsi così di mettere su di punto in bianco il DVD con la Lulu di Christine Schäfer, Andrew Davis e Graham Vick. Glyndenbourne, 1996.
Tre ore abbondanti di musica dodecafonica… Mi aspettavo di essere preso a insulti od ortaggi, quando non condannato a subire uno sciopero in stile Lisistrata; invece fu per lei l’inizio di una passione che in quegli anni fiorì e si alimentò autonomamente dal sottoscritto, attraverso l’opera omnia. (Corollario empirico: appartengo alla corrente di pensiero per cui si può arrivare tranquillamente “nudi” di fronte all’arte, anche quando complessa – se vuole colpirti e se vuoi farti colpire, l’arte ti colpirà ugualmente).
Non so nulla di W. dall’agosto 2013, ma sono ragionevolmente certo che tutto continui come in precedenza, che non avrà abbandonato Berg solo per l’acribia nel rimuovere freudianamente tutto ciò che da me promana. Al massimo terrà taciuta la fonte :)
Tanto più che l’amore per il compositore si incrocia con un’altra sua grande passione, quella per Elias Canetti, che di Berg era amico e lo testimoniò nel terzo volume della propria autobiografia, Il gioco degli occhi (scheda SBN). Potete leggere il bel passo sul sito di Laureto Rodoni, a questo link. «Famoso nel mondo, lebbroso a Vienna» è una variazione efficacissima del nemo propheta in patria. La tiro fuori spesso dal mio frasario. Specie quando la “patria” (o qualunque comunità) è marcatamente passatista e i tempi sono grami.
Quando penso a W. mi viene sempre in mente il Canto LXXXI di Ezra Pound:
What thou lovest well remains, the rest is dross / What thou lov’st well shall not be reft from thee / What thou lov’st well is thy true heritage / Whose world, or mine or theirs or is it of none?
Non l’ho amata bene. Perciò, equamente, è stata e resterà separata da me. Ma nel momento in cui le ho trasmesso il demone di Berg, in quelle poche ore io l’ho amata bene. Infatti questo impulso alla conoscenza è e resterà il mio lascito indelebile.
Lungi da me concludere con troppa malinconia. Tanto più che tra ieri e oggi abbiamo perso un ottimo poeta e amico, e un leggendario direttore d’orchestra. A loro e a i familiari va il mio pensiero. Anche per loro voglio restare propositivo, e allora ti confido che stamane ho scoperto una novità interessante, che chiude al meglio questa branzinatura. Proprio l’Andrew Davis di cui sopra ha orchestrato la Sonata per pianoforte op.1 e l’incompiuta Passacaglia del 1913. Le trovi in un album Chandos del 2022 che, contenendo anche Violinkonzert (solista James Ehnes) e i grandiosi Tre pezzi dell’op. 6., ben può farti da chaperon per un primo, meramente “sinfonico”, itinerario alla scoperta del Nostro festeggiato di Hietzing. Buon ascolto! Happy Berg-Day 💙
Alla prossima branzinatura, che chissà quando sarà (dipende dai miei neuroni). Nel frattempo, se proprio non puoi fare a meno delle mie scritture, accomodati pure nella stanza di là, dove di sicuro esce una poesia ogni venerdì pomeriggio!
Love and sea bass, RRC